Continua l’appuntamento periodico con una nuova rubrica all’interno dei quotidiani del nostro gruppo editoriale Morenews: Progetto Campioni.
Paola Mascherin ci racconterà i profili dei giovani atleti più interessanti del nord ovest, per provenienza o militanza.
Oggi conosciamo Riccardo Paganin, rugbista classe 2004, terza linea della Nazionale Under 20 e del Rugby Parabiago. Oggi ci immergeremo nel suo percorso sportivo, scoprendo le sfide affrontate, i successi ottenuti e i sogni che lo guidano mentre indossa con orgoglio la maglia azzurra.
Riccardo, come hai iniziato a giocare a rugby?
“È da 15 anni che gioco, ho iniziato che ero molto piccolo ed è stato mio zio il primo a farmi conoscere il rugby. Credo che mi abbia attratto il fatto che fosse uno sport nuovo, non era conosciuto e mi ha colpito subito. Non so dirti perché mi piaccia così tanto, mi appassiona tutto del rugby e non ricordo un istante della mia vita in cui non sia stato presente.”
Hai dei modelli o degli atleti che ammiri e a cui ti ispiri?
“Fin da piccolo ammiro molto Sergio Parisse, ex capitano della Nazionale di rugby. Sono cresciuto guardando le sue partite ed è sempre stato un po’ il mio idolo.”
Come bilanci i tuoi impegni sportivi con la vita quotidiana?
“Io ho scelto di fare l’università, mi alleno tutte le mattine e alcuni pomeriggi a settimana, cerco di ottimizzare i tempi e studiare nelle due orette di pausa che ho fra uno e l’altro. Ovviamente ci vuole passione per portare avanti il rugby e dedizione per lo studio, non è facile stare dietro ad entrambe le cose ma penso siano sacrifici che mi porteranno molte soddisfazioni.”
Com’è far parte di una squadra?
“Io sono qui a Parabiago da 15 anni e ormai mi sento a casa. Da un paio d’anni sono entrato in prima squadra, gruppo che ormai considero la mia seconda famiglia. Siamo un gruppo unito, ci conosciamo da anni e sappiamo cosa bisogna fare l’uno per l’altro. È un legame che c’è da molto tempo, ora ci capiamo con uno sguardo, non serve quasi parlare o fare qualcosa in particolare, è tutto molto naturale. Essere un gruppo unito per me significa supportarsi dall’inizio alla fine del campionato, dentro e fuori dal campo.”
Come gestisci la pressione durante una partita importante o durante un momento di difficoltà?
“Fortunatamente non sento tanto la pressione e difficilmente mi agito, sono uno che si concentra subito. Mentre mi cambio ascolto la musica per entrare nella mentalità da partita, sto nel mio e penso a ciò che dovrò fare in campo e per cui mi sono allenato. Quando c’è da uscire sono tranquillo e concentrato non penso ad altro se non a quello che devo fare.”
Che significato hanno per te la vittoria e la sconfitta?
“La vittoria è felicità perché vuol dire che il lavoro fatto in settimana è stato fatto bene. La sconfitta non la vedo come qualcosa di negativo ma come qualcosa che è mancato. La vedo come un'occasione per migliorarsi e fare di più. Paradossalmente a volte perdere fa bene perché ti da l’opportunità di crescere. Una sconfitta è importante analizzarla, bisogna capire dove e cosa è venuto a mancare per lavorarci e imparare da quanto è stato fatto.”
Cosa provi quando sei in campo?
“Mi sento libero, tutto quello che ho intorno non mi interessa più. I problemi e le preoccupazioni non le porto in campo, quando sono dentro quel rettangolo verde svuoto la testa e penso solo a giocare.”
Cosa ti piace di più del rugby?
“Prima di tutto mi piace la fisicità, la sfida col corpo, poi mi piace molto il rapporto fra questa e l’atletica. Nel rugby bisogna essere sia veloci che forti. Poi ovviamente il legame di squadra che si crea, è la cosa che preferisco.”
Come consigli di superare un momento buio?
“Qualche anno fa ho avuto un brutto infortunio e mi sono dovuto fermare. Ero in Accademia Federale e vivevo con altri miei coetanei, quando mi è successo per fortuna che c’erano loro. Mi sono stati vicini, aiutandomi ad andare avanti e a farmi forza per superare quel momento difficile. Quando si è in difficoltà è importante rimanere sempre sul pezzo e non uscire mai dai binari, bisogna crederci sempre e non mollare mai. Con i miei compagni siamo riusciti a superarlo, il rugby mi ha portato tante amicizie.”
Cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere una carriera sportiva?
“Gli direi che purtroppo oggi è difficile vivere di rugby, quindi è importante portare avanti anche una doppia carriera a livello scolastico o lavorativo. La crescita rugbistica è molto bella e interessante ma in pochi riescono a farne un lavoro. Sicuramente poi bisogna crederci ed allenarsi tanto, il lavoro è la prima cosa per farcela, non arriva niente senza sacrifici e passione.”
Cosa ti è servito per arrivare dove sei ora?
“Tante cose ma soprattutto la determinazione, è un aspetto che sento molto mio. Fin da piccolo sono sempre rimasto molto concentrato sui miei obiettivi, sono molto competitivo e mi piace essere sempre al top e migliorami. Do sempre il mio massimo.”
Pensi di essere nato con un talento?
“No. Forse più con una predisposizione ma non con un talento.”
Cosa hai provato quando è arrivata la prima convocazione in Nazionale?
“Mi ricordo molta emozione, è stato faticoso raggiungerla, un percorso e lavoro lungo. È stata una grande soddisfazione ma l’ho sempre vista come un punto di partenza per impegnarmi e ottenere di più. Quest’anno mi sono infortunato e mi sono dovuto fermare saltando alcuni allenamenti con la Nazionale, poi finalmente sono riuscito a essere pronto fisicamente e mi hanno chiamato.”
Che valore ha per te la maglia azzurra?
“È il massimo, soprattutto la maglia Under 20, perché c’è solo per due anni la possibilità di indossarla, quindi è veramente difficile. La passione che c’è nella Nazionale Under 20 è indescrivibile, non l’ho mai provata prima ed è bellissima. Fin dall’Under 14 ogni tanto venivano organizzate delle selezioni e quindi con i ragazzi ci conoscevamo più o meno tutti. Una volta lì il gruppo è venuto da solo, si lavora tutti per un obiettivo comune ed è bellissimo condividere la passione per questo sport con addosso i colori della Nazionale.”
Cosa provi quando ti metti la maglia azzurra e ti prepari per una partita internazionale?
“La responsabilità è molto alta e mi fa piacere, la sento molto ma come ho detto prima cerco sempre di rimanere tranquillo e concentrato. Indossare quella maglia è una grande soddisfazione e mi rende molto fiero ma cerco di volare basso e di non esaltarmi. La Nazionale mi ha fatto crescere tanto, portandomi tante soddisfazioni sportive e non; mi ha permesso di fare tutta una serie di esperienze che senza non avrei vissuto.”
Il ricordo più bello che hai della tua carriera?
“La prima partita con la Nazionale, quella vittoria contro la Francia non la dimenticherò mai. Poi un altro bel ricordo è il campionato di Serie A vinto l’anno scorso, fin da piccolo alcuni miei compagni li guardavo allenarsi ed essere lì insieme a loro e far parte di quel gruppo è stata un grande soddisfazione.”