Continua l’appuntamento periodico con una nuova rubrica all’interno dei quotidiani del nostro gruppo editoriale Morenews: Progetto Campioni.
Paola Mascherin ci racconterà i profili dei giovani atleti più interessanti del nord ovest, per provenienza o militanza.
Oggi è il turno di Gianmario Comi, capitano della Pro Vercelli che ci racconta il suo percorso calcistico e personale intrapreso fin da giovanissimo. Gianmario, grande tifoso del Torino, ha sempre respirato calcio e mai avuto dubbi: la sua vita l’avrebbe dedicata al calcio.
Gianmario, come ti sei appassionato al mondo del calcio?
“Mio padre aveva fatto questo mestiere per molti anni, credo sia stato lui a trasmettermi la passione per il mondo del calcio. Fin da piccolo la mia famiglia mi portava allo stadio a vedere il Torino. Questi sono i primi ricordi che ho in questo mondo.”
Chi è il tuo idolo e a chi ti ispiri?
“Non ho un vero e proprio idolo, sono cresciuto essendo tifoso del Torino e in quegli anni mi ricordo di Marco Ferrante con la sua esultanza delle corna. Ho avuto la fortuna di potermi allenare con campioni come Pippo Inzaghi e di avere l’onore di condividere il campo con giocatori che mi hanno dato tanto, sia sportivamente che umanamente.”
Com’è stato allenarti con i tuoi idoli?
“Sono emozioni forti, lì per lì sei talmente entusiasta che ti ci vuole un po’ per rendertene conto. Poi ovviamente crescendo capisci l’importanza e la fortuna che hai avuto a poterti allenare con i tuoi idoli d’infanzia e imparare da loro.”
Quando hai capito che nella vita avresti voluto fare il calciatore?
“Mio padre è sempre stato il responsabile del settore giovanile quindi per rimanere a determinati livelli ho sempre dovuto dimostrare tanto. Il fatto che mio padre fosse anche il mio capo mi ha forgiato molto a livello caratteriale, penso sia stata una questione molto formativa, lui non mi ha mai regalato niente anzi, mi ha sempre fatto camminare con le mie gambe. Questo credo sia il valore più grande che mi abbia insegnato.
Fin da bambino avevo questa sfida dentro di me di voler dimostrare quanto valessi, la propria passione che diventa il proprio lavoro è la cosa più bella del mondo, credo che non ci sia fortuna migliore che possa capitare.”
Che cosa ti appassiona del calcio?
“Io sono un grande amante del calcio, sono cresciuto con la passione di andare in curva a vedere il Torino. L’amore dei tifosi per i propri colori e per la maglia mi ha sempre appassionato, tifare per la squadra della propria città penso sia la cosa più bella del mondo. Vedere uno stadio di Serie C o di categorie basse pieno mi ha sempre emozionato, la passione e il senso di appartenenza delle persone sono ciò che mi affascina di più del calcio.”
Com’è stato passare dalle giovanili alla realtà di una prima squadra?
“Io ho avuto una tappa intermedia molto formativa, il Torino. Il mio primo anno fra i professionisti è stato “ibrido”, giocavo con la Primavera e mi allenavo spesso con la prima squadra, sono andato in ritiro con loro e ho fatto diverse panchine. Ho avuto la fortuna di potermi ambientare in un contesto che fosse diverso dal settore giovanile. Successivamente sono andato a Reggio Calabria a regime pieno in prima squadra e ciò che avevo fatto mi è servito da scuola, sapevo come comportarmi e questa cosa mi ha dato anche un po’ di vantaggio.”
Tu hai girato tante squadre tra giovanili e professionismo, com’è vivere tante realtà e riadattarsi ad ognuna di esse?
“Questo è il settimo anno a Vercelli, a parte una parentesi a Vicenza diciamo che le mie esperienze le ho fatte molto da giovane. Ho avuto la fortuna di vivere tanti spogliatoi, ho imparato a relazionarmi con tante persone e ho sperimentato modi di vivere differenti, anche semplicemente di diverse città d’Italia. Ho vissuto tante culture durante la mia carriera che mi porto nel cuore, per me è stato un percorso molto formativo e ricco di conoscenze. Ho lasciato tante amicizie in giro per l’Italia, infatti torno spesso nei posti in cui ho giocato.”
Dopo tanti anni di calcio cosa continua ad alimentare la tua passione per questo sport?
“Prima del Covid ho avuto anni difficili a livello di carriera, ma nonostante ciò le emozioni non sono mai venute a mancarmi. Ancora oggi, forse più di quando ero giovane, cerco di avere quell’entusiasmo, la consapevolezza di lavorare duro per raccogliere i frutti, a prescindere dalle delusioni. Queste emozioni vanno assorbite e bisogna avere una reazione forte per sé stessi, serve tirare fuori l’entusiasmo giusto per fare il lavoro più bello del mondo.”
Che cosa ti trasmette il calcio?
“Per me il giorno della gara è adrenalina pura. Sicuramente l’emozione del gol è indescrivibile, ti da alla testa e credo sia una forma scatenante verso noi stessi di libertà, di potersi esprimere in maniera sana in un prato verde. Regalare noi stessi ed essere amati dalla gente credo sia meraviglioso, una fortuna che non tutti possono avere. Sicuramente dietro di sono tanti sacrifici che vengono coltivati giornalmente da anni insieme ad uno stile sano ed equilibrato. I calciatori sono senza dubbio molto fortunati ma quando si è giovani vengono a mancare determinate dinamiche ed esperienze. Essere ligi al dovere è un sacrificio che reputo senz’altro una fortuna per poter fare questo mestiere, sacrifici fatti con entusiasmo e con il sorriso.”
Come vivi lo spogliatoio?
“Nonostante non lo sia più dentro mi sento molto giovane, ma le generazioni cambiano, i giovani d’oggi sono un po’ cambiati ma come è giusto che sia, bisogna stare al passo coi tempi. Secondo me dobbiamo essere noi bravi un po’ più grandi ad andare incontro alle nuove generazioni. Cerco di stare al passo coi tempi, i social a livello sociale hanno cambiato un po’ i rapporti. Mi piace stare stare in compagnia, ovviamente non sempre si possono trovare compagni che possono diventare amici, però lo scopo è quello perché poi in campo può essere un valore importante.”
Come ti comporti con i giovani che guardano al modo dei grandi per la prima volta?
“Adesso ci sono tantissimi giovani, penso che siano una ventata di freschezza importante e positiva. Essendo più grande quando un giovane sbaglia è normale che da parte nostra debba venire l’esempio, che è la cosa più importante. Inoltre se c’è bisogno di intervenire per far capire in cosa sta sbagliando, il modo in cui lo si dice è fondamentale.”
Cosa diresti a chi ha il tuo stesso sogno?
“Innanzitutto credo che lo sport sia salute, quindi bisogna vederla anche come una forma di miglioramento personale a livello anche formativo del proprio corpo, credo sia molto importante al giorno d’oggi.
Bisogna crederci, se si vuole veramente qualcosa dobbiamo andare oltre i nostri limiti. Ho avuto la fortuna di allenarmi con Messias, la sua storia è una favola che ho vissuto da vicino. Questo per far capire che i sogni anche a una determinata età si possono realizzare. Inoltre i social possono ispirare se usati nel modo giusto, anche quando si sta per mollare.”
Un consiglio che daresti al te stesso di qualche anno fa?
“Non mi darei consigli, io sono quello che sono anche grazie ai miei errori, sono fiero di quello che ho fatto perché mai nessuno mi ha regalato niente. Alla fine della carriera quello che semini poi raccogli, bisogna sacrificarsi per ottenere ciò che si vuole.
Io sono qua a Vercelli, sto benissimo, per me è un'emozione essere capitano. Rappresentare questa città e questi colori per me è un orgoglio. Io sono felice, ciò che ho fatto me lo sono conquistato col sudore e affrontando momenti difficili. Bisogna continuare a divertirsi, avere entusiasmo e a volersi migliorare sempre.”
Il ricordo più bello della tua carriera?
“Nel cuore ho più episodi, sicuramente il gol che ho fatto con l’Avellino durante i playoff per andare in Serie A, una piazza a me molto cara, mi ha formato molto a livello caratteriale e tecnico. E poi qua a Vercelli ho avuto dei momenti molto intensi, i gol nei derby lì ricordo con grande gioia e spero di regalarne ancora ai nostri tifosi.”