Con la ripresa dell'attività agonistica a livello giovanile, neanche a dirlo siamo di nuovo alle consuete note dolenti. Ovunque si ci giri, è facile constatare il frequente ricorso a gestacci ingiustificati , commenti impropri, frecciatine di cattivo gusto, beccate reciproche tra opposte tifoserie. Ogni sabato ed ogni domenica la stessa, solita storia. Se c’è un male evitabile che colpisce il calcio baby, questo spesso parte dalle tribune. Più che un’impressione soggettiva, di un'opinione discutibile, è un dato inequivocabile: s’è smarrito il senso della misura. Basterà che passiate un’ora della vostra vita a guardare una partita di giovani calciatori e ve ne accorgerete immediatamente. In quest’editoriale non si vuole parlare solo in prima persona da attenti cronisti , ma anchea nome di quanti provano situazioni di disagio e di disapprovazione pur non manifestandole pubblicamente. Seguendo ogni settimana una qualsiasi partita di calcio giovanile e a prescindere dalla categoria, lo spettacolo desolante descritto sopra, di norma non cambia mai. Dagli spalti piove di tutto, ogni genere di impropero: si potrebbe scriverne un libro. In tanti questo lo diciamo senza problemi rimanendone allibiti perchè riteniamo (riteniamo a ragione) che si sia perso il senso della misura. Non si vuole qui limitarsi a lodare il buon tempo andato: si sono sempre sentiti turpiloqui, sia chiaro, anche quando nelle giovanili ci giocavano quelli che oggi sono adulti. In campo però era diverso: a volte non li sentivano nemmeno certi mugugni. Oggi, se ci si siede al fianco di genitori e spettatatori (chiaramente e fortunatamente non tutti : è bene precisarlo), quasi ci si vergogna d’essere degli appassionati di calcio. Si palpa un'angoscia ed un'ansia da prestazione riversata sui piccoli giocatori che non ha eguali, siano essi figli o bersagli speciali di quei guru che macinano chilometri riempiendosi la bocca di non si sa bene di quali argute argomentazioni. Alcuni, tra i mestieranti del pallone in erba, non hanno fra l'altro nemmeno ancora basi solide per giocare bene al calcio. Ma che colpa avranno tra l'altro se magari non diventeranno dei campioni come invece si vorrebbe? Nessuna. Che grave colpa c’è a perdere una partita, a volte anche in malo modo. La sconfitta fa parte del gioco: negarlo è inutile, bisogna imparare ad accettarla. Passi per la rabbia, per le recriminazioni, per i rimpianti su ciò che poteva essere e non è stato, per l’arbitro (spesso ragazzi alle prime armi che come tutti devono imparare) che fischia a casaccio. Ma certi commenti non si possono e non si debbono sentire. Sembra che se il figlioletto sbaglia il genitore provi vergogna. Ancor più inaccettabile è il comportamento di chi si permette di scagliarsi contro i piccoli (della propria o dell'altrui squadra), magari davanti ad altri genitori pronti a scatenare improbabili discussioni e furiose zuffe a partita in corso. C’è un limite etico per tutte le cose. E’ risaputo che fare calcio è impegnativo (gli stessi genitori ne sanno qualcosa in termini di tempo, soldi e sacrifici) ma non ce lo ordina il medico di praticarlo a livello agonistico : è e sarà sempre una libera scelta. La sconfitta sportiva non è una sconfitta morale. La pratica di uno sport è un percorso prima di vita, poi, forse, di qualcos’altro. Qual è la logica di chi riversa tante speranze sui piccoli calciatori che giocano in un campionato provinciale o regionale? A cosa portano tante aspettative? In pochi volano dai dilettanti al professionismo ( 1 su 40.000 stando agli ultimi rilievi statistici): perchè tanta esasperazione? In campo ci potrebbero essere ragazzi dotati, ma frequentemente hanno la testa talmente piena di consigli e di raccomandazioni che cozzano l’uno contro l’altra che non li reggono: si innervosiscono e ne vengono così danneggiati. Si vede proprio ad occhio nudo: all’aumentare degli improperi aumenta il livello di incomprensioni e di confusione nel gioco. Perchè arrivare a tanto? Un motivo logico, ripetiamo, non c’è. Non sforzatevi nemmeno di trovarlo, perchè non esiste. C’è chi si permette di giudicare soltanto: scendete voi in campo, poi magari potremmo riparlarne. Gli pseudo osservatori ed i talent scout improvvisati, poi, meritano un capitolo a parte. C’è chi concepisce un vivaio come un’azienda: passi per i professionisti (ma neanche tanto), ma nei dilettanti il senso dov’è? Sarebbe ora di superare certi dogmi e certe usanze: se c’è inappetenza calcistica da parte dei ragazzi non è solo perchè i tempi sono cambiati, è perchè chi li riceve in consegna non sa coltivarli, e chi li manda a calcio non li manda a divertire, ma li manda sperando di ricavarne un campioncino. Scene di bontà sincera se ne vedono poche. Quando si ha il piacere di assisterne a una, quasi si ci commuove. Situazioni semplici: finisce la partita, il papà accoglie il ragazzino dopo la doccia e lo accarezza, porgendogli un panino e un bicchiere di the. Col sorriso sulla bocca, per loro inizia un’altra giornata, magari più divertente ancora. Magari il ragazzino ha appena perso, ha giocato male pur avendo svolto tutti gli allenamenti, cui il santo papà l’ha portato ogni volta. Non c’è stato un riscontro a tanto impegno: ma non importa. Dovrebbe essere sempre così: c’è poco da dire. Questo dovrebbe essere l’epilogo di tanti match: altro che le irriportabili diatribe su questo o quell’errore. Chi sa di aver buon cuore, moltiplichi la specie: visti i tempi, è una necessità fondamentale. Comunque sia, buon campionato a tutti